Racconto di un viaggio

Oggi, mi trovo sullo stesso aereo del 30 agosto. Si tratta di un viaggio di piacere, con la mia famiglia per andare a trovare Jaki.

Jacopo, detto Jaki, è un ragazzo di 12 anni, terzogenito di una famiglia romagnola. Quest’estate, papà Andrea e mamma Cristina decidono di organizzare un'”ultima vacanza insieme” in Scozia, visto che i due figli più grandi (Lorenzo e India) sono ormai proiettati verso l’indipendenza. 

Già prima di partire Jaki che soffre spesso di sinusite ha qualche linea di febbre.

Durante il soggiorno, alla febbre si aggiunge un forte mal di testa. Dopo un primo passaggio in ospedale la situazione precipita e la diagnosi è chiara: meningite. 

È necessario un ricovero urgente all’ospedale pediatrico di Edimburgo per un intervento neurochirurgico; prima del trasferimento con un volo sanitario Jacopo entra in coma.

L’amicizia che lega le nostre famiglie è di vecchia data.

Io, come mia moglie, sono medico anestesista-rianimatore. È per questo che Andrea mi contatta quando gli comunicano che un terzo intervento chirurgico é necessario. Sono al lavoro, è sera, e la voce che mi parla è quella di un padre annullato dal dolore e dall’angoscia. 

Non sono molto di supporto in quella telefonata, cerco di restare amico e rassicurarlo che tutto andrà bene. Ma il “medico” teme il peggio.

Per questo motivo e senza esitare, inizio, iniziamo subito a pregare. In particolar modo ci rivolgiamo a Maria Ausiliatrice (ho fatto le scuole salesiane), alla Madonna del Pozzo di Capurso (Santuario visitato nel 2017), a Filippo Gagliardi e a Chiara Petrillo. 

In più con il passaparola vengono “attivate” le Suore Benedettine del Santissimo Sacramento di Ghiffa, dei sacerdoti dei Legionari di Cristo, Don Costantino Manea a San Vittore (Intra), un gruppo di preghiera di Ginevra e un gruppo Padre Pio a San Giovanni Rotondo.

A casa, decidiamo che il giorno dopo li avrei raggiunti. Cosi è. Chiedo il permesso al primario che mi risponde: vai, il tuo posto è là. Corro a casa, preparo lo zaino e prendo con me una coroncina del rosario e il libro-testimonianza che avevo comprato da poco su Chiara.  

Qualche anno da grazie a Facebook, ho conosciuto Filippo Gagliardi. Pur essendo un compaesano (mi reputo intrese nel DNA) ma espatriato (vivo con la mia famiglia in Svizzera) non ne avevo mai sentito parlare. Ho letto il libro “Volevo dirgliene quattro…” poco tempo dopo. Una rivelazione. Quello che piùmi colpì è l’accettazione della malattia come dono di Dio; che è anche la grande testimonianza di Chiara. È la dimostrazione che Dio ci propone una prova e ci da i mezzi per affrontarla; sta a noi accettare o no. E se lo facciamo riceveremo 100 volte tanto. Come mi piacerebbe appropriarmi e essere in grado di trasmettere questo messaggio di speranza ai miei pazienti e alle loro famiglie!

In aereo, inaspettatamente sono teso, so che devo restare “medico” ma nello stesso tempo anche essere sostegno. L’ho fatto e lo faccio ogni giorno, in ospedale, per degli sconosciuti. Ma questa volta è diverso. Il paziente è un caro amico, come lo sono i suoi genitori. È l’occasione di essere me stesso, finalmente: non più solo medico, dipendente di un ospedale pubblico in uno stato laico ma un medico credente.

Ed è per questo che di fronte alla gravità della malattia, mi rivolgo direttamente a Loro. 

Una volta allacciata la cintura, inizio a sgranare la Corona del Rosario. E chiedo a Filippo e Chiara di intercedere presso Gesù affinché Jaki se ne esca nel migliore dei modi. Per esperienza, in questi casi, il meglio che si possa sperare é la salvezza della vita del paziente che spesso riporta però deficit neurologici debilitanti. 

Non so perché o come ma sento che qualcosa di importante sta accadendo. 

Perché Filippo e Chiara? La loro testimonianza mi ha da subito coinvolto. In loro vedevo e vedo ancora oggi molti dei miei pazienti colpiti nel bello della vita da una malattia. 

Filippo e Chiara sono persone normali con un asso nella manica: la Fede.

Il seguito é straordinario se non miracoloso. 

Jacopo é tornato a casa a Rimini il 21 dicembre. Con le sue gambe e guarito perfettamente. In più adesso parla inglese…

Anche se si possono trovare descritti dei casi simili nella letteratura medica, rimangono unici. Da medico-credente sono convinto che le nostre Preghiere sono state determinanti. 

Da allora, in ospedale, mi rivolgo spesso “a quei due” per ognuno dei miei pazienti. 

Verbania, 28 dicembre 2018

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