dalla rivista CREDERE, ottobre 2013

Il santissimo Sacramento è lì, sul comodino. L’ha lasciato don Fabrizio, prima di andarsene dal reparto di oncologia dell’ospedale di Verbania. Filippo cerca di sistemare i tubi del drenaggio che lo avvolgono, e si orienta a fatica verso quella scatoletta dorata. E’ ricoverato da 3 giorni, e così trascorre quel caldo pomeriggio di metà agosto. Un trillo interrompe le sue riflessioni: è un sms dell’amico sacerdote, che dopo qualche ora, si rifà vivo per chiedergli come è andata la ‘chiacchierata con il Capo’. “All’inizio volevo dirgliene quattro… poi ho capito che Lui ‘carica’ la croce su chi può sopportarla (anche se ne facevo a meno )… quindi gli ho affidato tutto: me, il piccolo e Anna”.
Filippo Gagliardi morirà dopo tre settimane, l’11 settembre. Don Fabrizio e Anna accettano di incontrarmi all’oratorio circolo San Vittore di Intra a Verbania. Hanno perso un amico e un marito. Mi avvertono: “Forse ci metteremo a piangere”. Hanno trascorso le ultime settimane accanto a Filippo, da quel 15 agosto quando gli è stato diagnosticato un rarissimo tumore dal decorso fulminante. Sono commossi ma sereni, e dal pancione di Anna mi dà il benvenuto anche Luca, che nascerà il 4 ottobre.
Al San Vittore, Filippo e Anna sono cresciuti. Hanno giocato insieme fin da piccoli, hanno viaggiato avanti e indietro da Milano durante gli anni dell’università per poi tornare, nel fine settimana, a quel luogo dove sempre più si sentivano chiamati ad impegnarsi e dove potevano vivere la loro fede e condividerla. Dove Filippo aveva preso la decisione di diventare Sentinella del mattino e di dare vita ai Caffè teologici anche nella sua città. Dove poco più di un anno fa, il 15 settembre, avevano festeggiato il loro matrimonio, e dove avevano deciso di battezzare il piccolo Luca quando sarebbe nato.
“Caro Filly, qual è il progetto di Dio su noi? “ si chiede ora Anna, che durante il funerale è riuscita a leggere le parole che aveva scritto per Filippo. “Ce lo siamo chiesti parecchie volte in queste ultime 3 settimane. Sono sicura che tu oggi lo sai già perché te lo ha appena svelato, a me toccherà scoprirlo piano piano, perché sono sicura che tu mi aiuterai a scoprirlo. Eh già, perché un progetto su di noi Dio ce l’ha ben chiaro, perché nella vita le cose non capitano per caso, fatalità, sfiga e coincidenza, le cose succedono perché c’è sempre un disegno dietro tutto da comprendere…”. Anna l’ha sempre pensata in questo modo, ma accanto al ‘suo’ Filly tutto ciò è diventato una realtà che non fa sconti: “I due giorni dopo il ricovero sono stati terribili. Sapevamo che poteva essere un tumore e avevamo paura, abbiamo pianto molto. Appena sposati e con un bimbo in arrivo, ci chiedevamo: perché a noi e perché adesso? A un certo punto, abbiamo smesso di chiederci il perché e abbiamo cercato di capire qual era il progetto di Dio su di noi”.
Ma Filippo aveva sempre cercato di vivere così, proprio nella normalità della sua vita, del suo lavoro come ingegnere edile e delle sue relazioni: “A dicembre avevamo fatto l’adorazione eucaristica – ricorda don Fabrizio – e, appena finito, Filippo è venuto verso di me e mi ha abbracciato. Era commosso. Mi ha detto: ‘Volevo sapere come vivere alcuni aspetti del mio matrimonio, e certe cose le capisci solo davanti a Lui’”.
“Per me prima di tutto era un amico – prosegue don Fabrizio – era molto presente, pratico, a volte un po’ ‘zuccone’. Ma sapeva cogliere le persone, guardarle in faccia, ascoltarle. Non perdeva occasione di parlare di fede anche con le persone lontane, con i colleghi di università o di lavoro. Il suo ritornello con tutti era un semplice ma autentico ‘come stai?’. Lo faceva anche con me. Se ero teso o preoccupato, se ne accorgeva immediatamente, mi abbracciava e all’orecchio mi sussurrava: ‘Che cosa c’è?’”.
Per le strade della città, alcuni manifesti funebri, come ormai solo nei paesi si usa fare, ricordano che “Pippo c’è”. Ma l’eco della vita e della morte di questo giovane ingegnere trentenne è arrivata ben oltre. “Quando ho letto questo testo ho pianto, mi sono commosso profondamente, come solo capita davanti a certe pagine di Vangelo e a certi racconti di vita”. Le parole del vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, arrivano il 12 settembre, il giorno dopo la morte di Filippo: “I suoi troppo brevi trent’anni sono un “quinto vangelo”, una storia che realizza attorno all’eucaristia di Gesù e alla passione per i ragazzi dell’oratorio, un’immagine di cristiano semplice, autentico, pieno di entusiasmo e vita”.
Il ‘circolo’ è l’oratorio di Intra, e ha una cappellina dedicata alla Madonna. Lì, negli ultimi giorni di Filippo, i ragazzi dell’oratorio si sono trovati a pregare per lui. Poi si sono trasferiti nella vicina chiesa perché la piccola cappella non bastava più a contenerli. Da lì don Fabrizio inviava una foto con un pensiero per manifestargli l’affetto e la vicinanza di tutti. La sera del 28 agosto, la risposta di Filippo arriva immediata: “Il Signore ve ne renderà merito… state riempiendo quello ‘scrigno’ a cui il Signore attinge… Vi abbraccio tutti! Grazie!”.
L’11 settembre Filippo è morto. Il grande salone dell’oratorio, tolte le sedie e i biliardini, si è trasformato in un santuario. Lì è stata allestita la camera ardente. Centinaia di persone, notte e giorno, si sono riunite per pregare intorno al loro amico, educatore, collega, vicino, conoscente. Persone che da anni non mettevano piede in parrocchia hanno deciso di trascorrere ore accanto a quella bara per salutarlo, per vederlo un’ultima volta, per pregare, anche se ognuno a modo proprio. Persone lontanissime dalla fede che desideravano confidarsi con don Fabrizio o che hanno deciso di rivedere la propria vita, come alcune colleghe di università hanno scritto ad Anna.
“Sono agnostico – ha scritto Giobi, amico d’infanzia con cui Filippo si era mantenuto in contatto pur avendo preso strade diverse – spero tu possa perdonarmi. Non so se ci sei ancora, se hai cambiato forma, se sei un fungo, una goccia d’acqua, o effettivamente sei in paradiso: rispetto ugualmente tutte le versioni possibili. Nel dubbio, il passato non ce lo ruba nessuno: c’eri al campetto, c’eri a scuola, c’eri negli sms, c’eri quando ti tiravi le paranoie per la tipa. E c’eri nel karate, di brutto c’eri…. Sei diventato un po’ l’icona dell’impegno, nella mia mente. Non mi hai sorpreso quando ho visto che ti tenevi la stessa fidanzata per mille anni e poi te la sposavi. Non mi ha sorpreso vedere come hai affrontato la morte. C’è gente (me incluso) che fa la voce grossa su tante cose. Onestamente non so chi avrebbe le palle che hai avuto te. E a questa non puoi rispondere, perché è la mia lettera: sei un fottuto eroe. Perché salutare come hai fatto te, a cuore sereno, è da eroi”.

(dalla rivista CREDERE, ottobre 2013)

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